Siamo davvero sicuri che esista solo ciò che vediamo,
sentiamo o, in senso più ampio,
solo ciò che possa essere percepito attraverso i cinque sensi?
A quanto ne so, le onde radio non sono esistite fino a che qualcuno le abbia scoperte e abbia inventato uno strumento per generarle ed utilizzarle come veicoli di comunicazione.
E il wi-fi e gli smartphone? Li vediamo in funzione? No, il "miracolo" avviene senza che i nostri occhi percepiscano nulla di ciò che succede tra il telefono e la "base" cui si connette. La trasmissione dati non ha odore, né consistenza e non emette un suono percepibile dal nostro orecchio. Sì, certo, tutto questo traffico è scientificamente dimostrabile, e gli schermi dei telefonini lo traducono per noi profani utilizzatori.
Quindi?
Chi può affermare che non esista nulla al di là della realtà in cui viviamo?
In tanti oggi dimostrano o cercano di dimostrare nelle più svariate modalità, che esiste una realtà molto più ampia rispetto a quella normalmente percepita. A volte si trovano soluzioni bizzarre, fantasiose e poco probabili a queste teorie, ma ormai è innegabile che esista molto di più di quello che noi crediamo.
Insomma l'invisibile è reale e molto più ampio del visibile.
"Credo in ciò che vedo" o "vedo ciò che so"?
Questa domanda è stata un postulato che mi ha accompagnata negli anni del liceo. Se allora potevo rispondere appellandomi alle correnti filosofiche, oggi mi sento di rispondere attraverso l'esperienza.
Il pragmatico "credo in ciò che vedo" è ormai da riporre in soffitta, mentre mi sento di salvare il "vedo ciò che so" della filosofia costruttivista: io sono l'osservatore e riconosco, "vedo", quello che so, lo interpreto e lo spiego. Sono in grado di vedere ciò che conosco e in cui credo.
Potrebbe apparire riduttivo, ma può essere una buona partenza.
Senza entrare troppo nelle elucubrazioni mentali filosofiche, voglio dire che più apriamo la mente a ciò che non conosciamo, alla possibilità del diverso e del nuovo, più abbattiamo i blocchi emozionali, le fortezze delle labili sicurezze trasmesse senza radici, più prendiamo fiducia nel sentire, più cominciamo a "vedere": iniziamo a credere che possa esserci altro, iniziamo a vedere altro.
La realtà si espande e realmente appaiono immagini nuove, odori, suoni. Schizzofrenia? ah ah ah, sì, "sentire le voci" ne è un tipico sintomo. Tuttavia non siamo tutti schizofrenici, è troppo comodo ridurre a disturbo, ciò che non vogliamo ammettere, sarebbe una responsabilità troppo grande e in fondo noi vogliamo fare poca fatica, è molto più comodo lamentarsi e continuare a perpetuare l'avvilente quotidiano.
Oddio forse sto diventando troppo pesante!
Fa parte della mia natura sfociare in discorsi filosofici
e pure scomodi, chiedo venia,
ma questa volta ho scelto questa strada per arrivare al punto.
E qual è il punto? Che possiate crederlo o no,
in un rituale avvengono "cose" reali,
apparentemente inspiegabili,
ma fondamentalmente innegabili.
Quando più di una persona sente (intendo a livello acustico) nello stesso momento ciò che sente un'altra, ma che non sembra sentirsi nella realtà, quando ad occhi chiusi più di una persona vede ciò che vede un'altra, allora lor signori, potreste certo dirmi è suggestione! , benissimo, ma quanto vogliamo andare avanti a non credere all'evidenza e a trovare scuse? rispondo io.
Perché abbiamo costantemente bisogno di prove scientifiche e non ci fidiamo mai di noi stessi?
Nel post di maggio scorso ho spiegato cos'è un rito e cosa un rituale (Riti e rituali),
qui voglio soffermarmi sul rapporto tra realtà normalmente percepita e la realtà che si vive in un rituale.
Nello spazio-tempo sacro che creo,
si entra in uno stato di coscienza alterato,
durante il quale si possono allentare le strutture mentali solite,
per aprire la coscienza al nuovo, al diverso, al possibile.
È in questo stato che riusciamo ad ampliare la percezione, smettiamo di credere in una realtà limitata e, senza il "disturbo" della vista, apriamo un'altra visione. Così l'animale guida può manifestarsi ai nostri occhi "interni", la persona lo vede e può riuscire a sentirne la consistenza del pelo o delle piume. E quando "ritorna", sa di avere visto, sentito, annusato, non può più negarlo a se stessa, anche se non sa spiegare come tutto ciò è avvenuto.
Preferisco non aggiungere altro all'esperienza del rituale per incontrare il proprio animale guida, perché è personale e intima e vorrei evitare di creare suggestioni o aspettative; come spesso ricordo, un detto nahual dice che l'aspettativa è la terra delle delusioni. E io preferisco portarvi nella terra del nahual :-)
Ed è da questa terra che arriva l'augurio del dott. Omar Miranda-Novales che oggi vi dedico:
"Che stiano in piedi i monti, che rimanga la terra, che i cuori fioriscano, che i visi siano veri, che i cammini si possano avverare e i destini possano andare. E cosi sia, cosi è e cosi sarà".
In lak'ech.
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