Essere.
Sono tornata dal mio “viaggio della vita” in Messico. So chi sono, insomma sono partita perché finalmente so chi sono! Sono Eleonora, sono una strega potente, ho 43 anni. Già quarantatré?! So la fatica che ho fatto per essere quella che sono oggi, ma anche la gioia di scoprirmi! Sette anni per decidermi ad affrontare questo viaggio, ma oggi so chi sono e questo viaggio ha suggellato la mia consapevolezza.
Essere per differenza.
Dieci anni ci dividono. Io ne ho 43, Vera 33. Tra noi la sintonia è scattata subito, circa tre anni fa. Lei ha un ottimo intuito, ha capito velocemente che il progetto degli Animali Guida avrebbe funzionato.
Quando ho nuove idee, mi piace confrontarmi con Vera, mi offre sempre ottimi suggerimenti. È analitica, sintetica, ficcante, con ottima proprietà di linguaggio, sensibile, empatica.
Dieci anni ci dividono, sono quelli che mi ci sono voluti per capire chi sono e poi per partire per questo viaggio.
Io so chi sono, Vera sta ancora decidendo.
In fondo ha ancora dieci anni di tempo ;-)
E come afferma un detto Nahual:
Abbiamo più tempo che vita.
Durante la mia assenza le ho chiesto semplicemente di scrivere quello che sentiva e lei mi ha ascoltata. Si è ascoltata. Credo che il suo sentire possa essere di aiuto e condiviso da molti, per questo ho deciso di pubblicarlo :-)
Vera Zaccarelli
Essere per sottrazione.
Sono abituata al vociare confuso della sala d'attesa, è il sottofondo che addolcisce il mio caffè del mattino. Il mio minuscolo appartamento si trova sopra a un centro medico che ha la consuetudine di tenere i lucernai aperti, diventando cassa di risonanza delle chiacchiere dei pazienti in attesa del loro turno dal medico.
Se mi affaccio dalla finestra mi è possibile anche vedere il via vai al portone d'ingresso di chi arriva e di chi, dopo aver atteso il suo turno, finalmente è stato accontentato e se ne va.
La combinazione di suoni e immagini appena descritti,
quando decido di fare un viaggio introspettivo, risulta assai potente.
Perché la mia fantasia è più limitata della realtà,
in quanto appartiene a me e si plasma sui miei preconcetti,
limiti, schemi precostituiti e quant'altro.
Affacciarsi fisicamente e metaforicamente sulla realtà apre all'altro, alla diversità, a ciò che non sono io. E arriva inevitabile, osservando, la domanda: ma io poi, chi sono?
È strano realizzare che più passa il tempo meno sono in grado di rispondere in modo chiaro a questo interrogativo, come se i miei confini perdessero nitidezza man mano che faccio delle scelte, che imbocco determinate strade invece che altre. Eppure le scelte identificano l'individuo ma, a ben pensarci, lo deprivano anche. Gli tolgono quelle parti di sé che decide di non scegliere, uccidono quelle possibili versioni dell'io che vengono scartate. Quel che resta è l'osso, l'essenza, la sostanza, dice qualcuno. Il dubbio, mi sento di aggiungere io. Il dubbio che ne valga la pena, ogni volta, di scegliere di non essere qualcuno.
Il dubbio, più di ogni altro sentimento umano, è nebbia. Perché si riempie di nostalgia, ricordi, interrogativi irrisolti, che irrisolti molto probabilmente resteranno sempre.
“Chi sono alla fine?”
… nebbia.
Una voce squillante e concitata, dagli acuti un po' prepotenti, mi parla di una donna poco più che quarantenne che attende con poca pazienza il suo turno dal pediatra. Ha due figli che continuano a passarsi l'influenza e il suo saltare incontrollato da un argomento all'altro fa scattare chiaramente la polaroid di una fotografia famigliare calda, stabile, affettuosa ma decisamente frenetica e un tantino nevrotica.
Ho 33 anni, tutti mi dicono che “sarebbe ora”, ma io oggi non sono una mamma.
Riconosco la voce impostata di un uomo adulto che sta facendo una telefonata di lavoro. Parla di clausole contrattuali, e poi di un incidente. Mi faccio l'idea che sia un assicuratore, o forse un avvocato. Qui dal mio appartamento non mi è dato sapere. Mi è chiaro però che sia stressato, scontento e abituato a trattare con sufficienza i suoi interlocutori. Non è arrabbiato, è solo scortese per routine. E ricco. Questo lo aggiunge la mia immaginazione soffermandosi sulla scelta che fa di alcuni sinonimi mentre parla. Chissà perché non ha cambiato lavoro prima di farsi imbruttire.
Ho 33 anni e oggi non sono una benestante donna in carriera.
Voci si sovrappongono, si mescolano, riemergono si eclissano. La segretaria invita ad abbassare i toni perché “non siamo al mercato signori per cortesia”. Io proseguo nel mio viaggio di ascolto e scopro di non essere un sacco di cose, oggi.
Non sono una ragazzina annoiata.
Non sono una donna innamorata e spensierata.
Non sono una casalinga soddisfatta e felice di accudire
la sua famiglia.
Non sono una moglie ferita e rancorosa.
Quando mi affaccio sulla realtà, dalla mia finestra,
so chi ho scelto di non essere finora,
chi ho scelto di essere per sottrazione.
In un modo che non riesco a verbalizzare, la sensazione di sapere “chi non sono” fa luce dentro di me anche sui confini di chi invece ho deciso di essere. Sui “perché”, più che altro, e i dubbi si attenuano. Si alleggeriscono, così come si alleggerisce il mare di possibili “io” man mano che scarto quelli che non ho scelto.
Il tempo del caffè è esaurito. Mi preparo e devo scappare al lavoro. Non ho nuove risposte, mi porto dietro la consueta nebbia anche oggi. Però la mia inadeguatezza mi fa meno paura, è meno pesante.
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